In occasione delle recenti elezioni europee, i due partiti italiani che formano il primo governo veramente populista in Europa occidentale hanno confermato di poter contare ancora sul 50% dei voti. Ma la notizia scioccante è che all’interno della coalizione, il sostegno al Movimento Cinque Stelle (M5S) anti-establishment si è dimezzato al 17%, mentre quello della Lega di estrema destra è raddoppiato al 34%, rendendolo l’attore dominante nella politica italiana.
Come ha potuto il M5S, che è riuscito a inventare nuovi modi di fare politica su Internet, cadere così gravemente e così rapidamente? La Lega reggerà nel tempo? Che danno può arrecare l’illusione della “ripresa” a un paese così dipendente dai mercati internazionali per finanziare il suo enorme debito pubblico? E, cosa più importante, cosa resterà delle speranze dell’Italia una volta che gli italiani esauriranno una formula politica dopo l’altra, senza alcun segno di inversione di un declino ventennale?
Queste domande mi vengono poste frequentemente dagli osservatori della politica italiana, che sono sempre più preoccupati che il disfunzionamento dell’Italia possa contaminare altre democrazie occidentali. Sono le stesse domande che mi pongo quando passeggio per Trastevere, il quartiere di Roma dove vivo con la mia famiglia.
Trastevere è il cuore della Città Eterna. È l’unica parte della città ad essere stata abitata ininterrottamente sin dai tempi dell’Impero Romano. Registi come Woody Allen e Federico Fellini si innamorarono dei suoi muri ricoperti di edera e delle strette strade acciottolate. Ma nonostante tutto lo splendore celebrato dal cinema, la realtà oggi è che troppa spazzatura e troppe macchine hanno reso irriconoscibile la “grande bellezza” di Roma.
Tutto ciò sarebbe dovuto cambiare dopo le elezioni locali del 2016, quando questo collegio elettorale (che è la tradizionale roccaforte del Partito Comunista) votò a stragrande maggioranza per Virginia Raggi, la candidata del M5S. Io stesso ho salutato la sua elezione come una promettente rottura nel ciclo politico che negli ultimi tre decenni si è alternato tra coalizioni di centrosinistra e di centrodestra senza risolvere nessuno dei problemi strutturali di Roma – o del Paese.
Tre anni dopo, la grande delusione è che nulla sia cambiato. Sì, una serie di scandali hanno costretto alle dimissioni diversi consiglieri della Raggi. E sì, a livello nazionale, la stampa italiana continua a trasmettere una saga infinita con nuove stelle che rapidamente e deludentemente svaniscono e si esauriscono. Ma ciò che più mi colpisce è quanto la politica sembri essere diventata impotente nell’influenzare la vita quotidiana.
Una delle idee iniziali del M5S è che l’ambiente potrebbe diventare uno scenario politico avvincente, mentre un’altra è che l’innovazione potrebbe essere la strada verso un mondo migliore. Ci si potrebbe aspettare almeno alcune restrizioni sull’uso di autovetture alimentate a combustibili fossili, soprattutto in una città dove, secondo uno studio, il residente medio trascorre in media 227 ore all’anno nella propria auto. Si tratta di più del doppio della cifra di qualsiasi altra grande città italiana. Avrebbe avuto senso per un partito che scommetteva fortemente sull’innovazione verde incoraggiare un passaggio significativo a veicoli più piccoli, collaborare con società di ride-hailing e costruire infrastrutture per le auto elettriche.
La delusione dei romani è evidente quanto le automobili che continuano a dominare il panorama di una città che avrebbe dovuto accrescere la propria attrattività invece di svalutarla. Come prima, la politica locale si riduce a chiedere più soldi per costruire nuove strade e nuovi parcheggi. È tutta una questione di spesa pubblica. Un confronto tra i Comuni italiani e il governo centrale, così come ce n’è sempre uno tra questo stesso governo centrale e la Commissione europea.
La vera trasformazione deve cercare modi in cui la società possa utilizzare le poche risorse pubbliche e private disponibili in modo più efficace. Ciò dovrebbe consistere nel cambiare i modi di produzione e di consumo che erano basati su tecnologie come l’automobile, ma che oggi non soddisfano più le nostre esigenze. Il vero cambiamento richiederebbe nuove forme di democrazia che consentano a tutti di essere coinvolti.
Tali idee hanno contribuito a spingere l’esperto di tecnologia Gianroberto Casaleggio e il comico Beppe Grillo a fondare il M5S nel 2009. Come movimento, si basava sulla convinzione che Internet avesse reso lo status quo obsoleto. E avevano ragione. Ma Casaleggio è morto nel 2016 e coloro che gli sono succeduti non avevano la capacità intellettuale e amministrativa per gestire questa trasformazione.
In molti modi, l’Italia è stata come un laboratorio per la crisi politica che ha travolto l’Europa. Ma è anche uno dei luoghi più appropriati per sperimentare soluzioni a questa crisi.
Possiamo dire che la profondità stessa dei nostri problemi rende noi italiani più consapevoli degli altri europei e più disposti a correre rischi tentando soluzioni più radicali. Il problema è che abbiamo commesso l’errore di pensare che siano i politici a poter apportare il cambiamento nella società, quando ormai dovrebbe essere molto chiaro che il cambiamento può avvenire solo quando un numero sufficiente di persone se ne assume la responsabilità.
Il successo dei futuri attori politici italiani – coloro che riempiranno il vuoto lasciato dal crollo del vecchio potere e dal fallimento dei movimenti arrivati al potere prima del loro tempo – sarà definito dalla loro capacità di presentare una visione che coinvolga le persone e che proporre approcci pragmatici per risolvere piccoli problemi.
A Roma, ad esempio, non sarebbe una cattiva idea vietare a tutte le auto private l’accesso al centro storico e sostituirle con mezzi pubblici o condivisi. I turisti riscoprirebbero il più grande museo all’aperto del mondo, mentre noi rumeni sentiremmo finalmente che anche la nostra comunità è entrata nel XXI secolo.
Articolo di Francesco Grillo (economista politico e direttore del think tank Vision) – The Guardian (acquisto Rador)
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