Sinistra italiana e Partito Democratico: una divergenza in evoluzione


Il Pd raccoglie, non senza evidenti contraddizioni, l’eredità dell’ex Pci, oltre trent’anni di progressiva e complessa ridefinizione della sinistra.

(Corrispondenza dall’Italia per Quotidien di Alberto Castaldini)

La caduta del muro di Berlino sembra suonare la campana a morto politica per gli eredi di Gramsci, Togliatti e Berlinguer nella democrazia parlamentare italiana (definita da alcuni “partitocrazia”). Invece il Pci uscì dalle rovine di Berlino con poche ferite, dalla dissoluzione dell’Urss. Cambiato il nome in Partito della Sinistra Democratica, ma rimasti invariati gli apparati, la strategia e la pratica egemonica, ha resistito alla prova più difficile che ne è seguita nel 1992: l’inchiesta dei giudici “Mani Pulite” contro la corruzione politica, che ha preso di mira il sistema partitico al governo.

Invece il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, espressione della sinistra di antica tradizione riformista e socialdemocratica, è stato travolto dalle indagini a cento anni esatti dalla sua fondazione e poco più di settant’anni dalla scissione del Livorno che ha diviso la sinistra italiana fino alla vigilia della presa del potere da parte del fascismo. Anche la Democrazia cristiana, principale partito al potere in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale, garante dello schieramento atlantico, è stata compromessa dalle indagini. Dopo la breve parentesi del Partito Popolare, che
tentati di riconquistare il carattere del partito cattolico guidato negli anni ’20 da don Luigi Sturzo, i disertori della Dc e del Psi si ritrovarono sia in Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi, sia nel Pds.
Oggi, dopo dieci anni di governo, dopo aver perso le elezioni legislative del settembre 2022, il Pd si appresta a cambiare segretario. Enrico Letta, di origine democristiana, lascia il posto ai quattro concorrenti che misureranno i rispettivi consensi alle elezioni del partito previste per il 26 febbraio.

I quattro candidati sono Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo. Vale la pena notare alcune considerazioni sulle quattro personalità. Bonaccini resta il favorito per la segreteria del partito secondo gli ultimi sondaggi. Seguono Schlein e, più distaccati, De Micheli e Cuperlo.

Bonaccini è l’attuale presidente della Regione Emilia-Romagna, che è al suo secondo mandato, anche se il suo partito ha perso un ampio consenso territoriale nella regione italiana storicamente “rossa”. Bonaccini, già esponente del Pci, figlio di un camionista e di un operaio, è su posizioni riformiste.

Elly Schlein è il vicepresidente di Bonaccini. Nata a Lugano nel 1985, da una famiglia di professori universitari, ha tripla nazionalità: italiana, svizzera e americana. Schlein è stato anche politicamente attivo negli Stati Uniti nelle campagne presidenziali di Barack Obama ed è molto impegnato per i diritti civili.

Paola De Micheli, ex ministro nel governo Conte, entrato in politica con L’Ulivo di Romano Prodi, poi passato al Pd. Cuperlo, invece, è nato a Trieste, la città più mitteleuropea in Italia. Negli anni ’80 è entrato a far parte della Federazione della Gioventù Comunista Italiana (FGCI), di cui è stato segretario nazionale. Fa parte della corrente SinistraDem del Pd, di cui è stato presidente per poco meno di un mese sotto la segreteria di Matteo Renzi, dal quale si è successivamente dissociato.

L’immagine dei candidati è per certi versi simile e allo stesso tempo articolata e sfida gli elettori delle primarie a fare una scelta precisa: tornare al passato o al futuro. O forse in un vicolo cieco, in attesa di non turbare i delicati equilibri interni di un partito diviso in fazioni, che danneggerebbero sicuramente la sinistra italiana, che soffre da decenni di numerose carenze strutturali, confermate dal recente risultato elettorale della legislatura elezioni che hanno visto l’affermazione della coalizione di destra, in particolare Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, l’attuale Presidente del Consiglio.

In Italia, come in altri paesi europei, c’è stato infatti nel tempo un trasferimento di temi e idee da sinistra a destra. Allo stesso tempo, alcune delle priorità della destra si sono spostate a sinistra. Il fenomeno potrebbe rappresentare una dialettica politica naturale nei processi di cambiamento in un mondo sempre più complesso e in continua trasformazione. In realtà c’era piuttosto un mimetismo ideologico che confondeva gli orizzonti ideali, a favore di una prospettiva quanto meno non riformista, in certe situazioni anche antiliberale.

Il sociologo italiano Luca Ricolfi, presidente della Fondazione David Hume, ha da tempo ricordato l’urgenza di un cambio di prospettiva da parte della sinistra italiana (e possiamo dire della sinistra europea). La difesa delle fasce più deboli ed emarginate della popolazione, la libertà di espressione e di confronto, il ruolo della cultura come fattore di riscatto ed emancipazione sociale, erano un tempo le bandiere di questo spazio politico, ma le bandiere ammainate dagli alberi politici.
La sinistra non c’è più: riassume Ricolfi. Un tema ricorrente negli ultimi anni in Italia, con il centrosinistra saldamente al potere, è stata, ad esempio, la battaglia per i diritti civili. L’impegno naturale e legittimo in uno Stato democratico, che non solo ha però finito per prevalere sulla preoccupazione e difesa dei diritti sociali (il lavoro soprattutto, fondamento della dignità delle persone e delle famiglie), ma lo ha fatto spesso in una prospettiva di censura, per stigmatizzare ogni opinione non conforme al “politicamente corretto”. In questa condanna acritica di ogni posizione dissenziente, il governo liberal-democratico di sinistra, spesso ispirato a modelli culturali e politici d’oltreoceano, si è dato un’immagine elitaria, disattenta ai reali bisogni del popolo. Caratteristico di una certa classe dirigente, lontana dalle classi diseredate ed escluse, era già presente in molti esponenti del vecchio PCI, immortalato nei suoi vezzi intellettuali e salottieri dal regista italiano Ettore Scola nel celebre film del 1980 “La Terrazza”, con Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli

La-terrazza-1980- di Ettore-Scola

L’evoluzione del PCI verso il PD, nonostante il contributo della Democrazia Cristiana con la sua tradizionale sensibilità alle questioni sociali, non ha impedito di riproporre questo orizzonte chiuso, slegato dalle questioni emergenti (tra cui la sicurezza) e favorito da una sorta di globalizzazione ideologica, standardizzare e distorcere.
Fin dall’inizio, il Pd si è definito un partito riformista, e non espressamente di sinistra: una definizione che contrasterebbe in linea di principio con parte del contenuto delle elezioni adottate negli ultimi anni, dalla politica del lavoro alla politica economica, una legge sul lavoro .
Lo storico Massimo Salvadori, citato dal politologo Giorgio Galli, a un anno dalla sua nascita nel 2008, quando perse le elezioni politiche, definì il Pd “ancora privo di un carattere definito”. Dunque, secondo lui, la sinistra italiana è rimasta senza un grande partito, anche perché l’altra sua grande anima, il Partito socialista, è stata espulsa dal parlamento a seguito di inchieste giudiziarie. Nel 2011, la fine del governo Berlusconi segna l’inizio di un decennio di governo tecnico e politico in cui il Partito
I Democratici hanno avuto un ruolo centrale, solo in parte eclissato dal Movimento 5 Stelle, formazione populista che gode ancora oggi di consensi, soprattutto nel Sud Italia, l’area economicamente e socialmente più problematica.

Il decennio che si concluse con il ritorno della destra politica al governo vide ulteriori metamorfosi dei Democratici riformisti, sempre più somiglianti ai Democratici d’Oltremare (il mito di Obama) piuttosto che al socialdemocratico europeo, da cui era divenuto il Partito Socialista di Nenni e Craxi, ma con alti e bassi, un alfiere. La caduta del blocco comunista avrebbe dovuto segnare la riscoperta della possibilità di un fronte comune della sinistra italiana. Il resto è la storia di quei mesi. In tutte le recenti elezioni, il Partito Democratico ha vinto nei centri storici e nei quartieri più ricchi.

Questo però non è bastato per imporsi a livello nazionale, perché l’Italia profonda ha lasciato a destra, grazie in particolare a Giorgia Meloni. Ora il Pd cerca una nuova strada dopo la sconfitta di cinque mesi fa. Ma quella che Luca Ricolfi ha descritto come una “mutazione genetica” dei valori della cosiddetta sinistra richiederebbe un lungo processo evolutivo per ritrovare la matrice originaria. Intanto l’aneddoto raccontato da Ricolfi non stupisce. Dopo aver chiesto a un amico come ha votato, ha risposto: “Ho votato la Meloni perché sono di sinistra”. I paradossi della politica italiana nel XXI secolo…

Attilio Trevisan

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