US $ 4,89. Ecco quanto costa la statuetta, che ironicamente premia gli attori, sceneggiatori e registi più deboli di un anno cinematografico. Questo e niente di più. Il trofeo consiste in un lampone che assomiglia più ad un ananas soffiato dorato ed è attaccato a un supporto di plastica. È kitsch lavorato con talento e con un’evidente intenzione parodistica. Se il picco artistico si paga (tramite gli Oscar), anche la scarsa performance merita qualcosa.
E cosa c’è di più feroce di una multa mascherata da premio? È in questa logica che dal 1980 si guidano i Golden Raspberry Awards, alias The Razzie Awards, alias Golden Raspberry. La celebrazione avviene ogni volta prima della cerimonia degli Oscar. Il pubblico ha così modo di constatare quanto sia grande la distanza tra l’alto e il basso, anche se i criteri per giudicare il superlativo cinematografico diventano, di anno in anno, più difficili da accettare e meno legati alla pura arte.
Radu Paraschivescu scrive di polvere e rifiuti
A loro merito, ci sono stati vincitori ripetuti che hanno calpestato il loro orgoglio, sospeso il loro attacco (se mai ne hanno avuto uno) e si sono presentati per ricevere il loro trofeo. Non molto, ovviamente, ma importante. Alcuni nomi: Ben Affleck, Sandra Bullock, Tom Selleck, Bill Cosby, Paul Verhoeven, Halle Berry. Esponenti del successo, certo, ma non sempre successo e valore sono sinonimi. La loro disgiunzione è stata anche ripetutamente segnalata in Romania, dove il valore è stato confuso da molti con la popolarità e ha portato a situazioni in cui Viorel Lis era su Ileana Mălăncioiu e Florin Piersic su Cristian Măcelaru. E il Golden Raspberry non è stato l’unico contropremio per controprestazione. Vale anche la pena di scrivere due parole sui premi Ig Nobel, un’altra categoria di premi satirici, come il Nobel, del 1991, e mettere in evidenza risultati scientifici senza scopo, impatto o significato.
Di passaggio in Italia, da dove ha lasciato il mondo “non c’è due senza tre”, si mostra agli occhi un rumeno che firma la sua presenza in stato di vergogna. Questa volta, quella del calcio. Il rumeno si chiama Ionuţ Radu e siede con altri giocatori di Serie A in una triste lista di delusioni. Il trofeo che ciascuno degli imputati prega di non ricevere si chiama Bidone d’Oro – una sorta di Bidone d’Oro, che sanziona la sottoperformance o la scarsa performance alla stregua dei Lamponi per gli artisti. Quanto velocemente anche i metalli che sapevamo essere puri e invulnerabili coke. L’oro di ghiaccio dei guardiani e delle corna di cervo di Braşov scende negli scantinati dove diventa l’acronimo della festa o finisce per denotare il fallimento. Come nel caso di Zmeura e Pubela.
Il caso di Ionuţ Radu è – non di oggi, di ieri – un’illustrazione dello scivolo su cui scivola da tempo tutto il nostro calcio. Tre anni e mezzo fa, Radu era uno dei nomi in cui i microbisti rumeni riponevano le loro speranze iperottimiche. Radu ha tenuto discorsi stimolanti negli spogliatoi ed è stato un leone parallelo nel cancello dei giovani. Il futuro sembrava assicurato, tanto più che Radu non lo palpeggiava da solo, ma al fianco di Hagi jr, Man, Mihăilă, Băluţă, Coman, Puşcaş e tanti altri. Il futuro e il presente sono noti. La descrizione del lavoro di Ionuţ Radu ora ha come elemento principale i tre secondi durante i quali il portiere non sa più chi consiglia ai telespettatori di guardare la Serie A su Digi Sport. Chi lo trasferisce scopre, prima o poi, la portata dell’inganno. E cercano di ottenere i loro soldi imbrogliando qualcun altro. Dalla serie B o da altri campionati secondari, perché non si può più parlare di un primo campionato.
È del tutto possibile che a 25 anni, La carriera di Ionuţ Radu potrebbe essere stata rispolverata. E la polvere. O il bidone della spazzatura. A lui si deve in primo luogo il fatto che il premio che rischia di riscuotere consiste in un contenitore che imita il bidone della spazzatura. Quando rivolgi le orecchie a bocche parlanti per non farle tacere e pensi di essere più grasso di quello che sei realmente, ti butti nella spazzatura. Il Golden Bin, in questo caso, sarebbe semplicemente una prova di accompagnamento. E ricordo una sera di giugno a Milano, quando prenotai un tavolo in un ristorante di Piaţa Domului. Mi è stato chiesto il mio nome e ho pensato di non dare il mio cognome, troppo lungo e difficile da pronunciare per gli italiani. Così ho detto “Radu”. Il cameriere mi guardò vagamente triste. “Sei imparentato con…?” mi ha chiesto ricordando la fase in cui il portiere dell’Inter ha regalato lo scudetto al rivale lombardo. La mia risposta negativa non aveva importanza. Invece contava il tono dell’italiano. Tre anni prima si sarebbe probabilmente vista in lui almeno un’ondata di ammirazione.
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