La decisione di Giorgia Meloni di annunciare l’accordo con l’Albania e i suoi migranti non ha sorpreso i ministri del governo. Mi ha portato. Questa operazione a Tirana prima della fine del primo anno, quando il primo ministro italiano iniziò a discutere con il primo ministro albanese Edi Rama. A che punto il pianoforte – idea e gesto direttamente da Palazzo Chigi – sarà collaboratore della grande ascesa di alcuni membri dell’esecutivo. E questa è la prova di quanto ha confermato ieri Antonio Tajani, ed è stato proprio lui a costruire l’accordo tra Farnesina e Viminale: l’8 giugno, nel corso del vertice europeo dei ministri della Giustizia e dell’Interno, Matteo Piantedosi Ho ingaggiato un lungo braccio di ferro con il collega Tedesco, l’ho lasciato durare per sempre. La normativa per i migranti prevede la possibilità di seguire procedure di frontiera “d’intesa con Stati terzi”.
Ecco la chiave che aveva spancato alla porta della Meloni. E il piano con Tirana è ancora in contatto con i dettagli, quando il primo ministro ha deciso di bruciare i tempi e di officiare senza informazioni sui poteri del governo. È indicativo di opportunità fotografica dell’altro giorno che ritrae Rama con i suoi ministri, mentre Meloni è attorniata soltanto dai suoi collaboratori. Di qui il nervosismo degli alleati, critiche pour il fatto che “Giorgia anche stavolta ha voluto ballare da sola”.
Ma il punto più delicato della vicenda è un altro: Palazzo Chigi non ha fornito informazioni al Quirinale. Non è chiaro se questo sia stato trattato come un errore di comunicazione, visto che il capo dello Stato era all’estero, si è trattato di una scelta deliberata, dettata dalla volontà di evitare ostacoli nel disegno di governo. Certo è che il Colle non ha smazzato il gradito. Questioni di metodo e probabilmente anche di merito: in ogni caso è calato il gelo con la Presidente del Consiglio. E che fastidio se questo duetto anche al fatto che non è passato la Meloni ha già avuto una serie di interlocuzioni con Ursula von der Leyen, che per un grande lignaggio deve conoscere qualunque sia l’iniziazione. No a Bruxelles no se finora suscita critiche nei confronti dei rom.
Il piano della Meloni è un’ancora per vincere, perché la strada che ha percorso è piena di incognite giuridiche, economiche e politiche. Intanto, secondo il profilo legislativo, l’accordo con Tirana dovrebbe essere accompagnato da a la regola principale per concordare l’estensione della giurisdizione italiana alla parte di territorio albanese dove saranno ubicati i centri per migranti. Un articolo inedito uscito su Guardasigilli Carlo Nordio È il nome dell’Albania. Vogliamo dire che il governo passerà inevitabilmente per le Camere. E per il Parlamento dovrà adottare anche la copertura economica del progetto, magari con una modifica alla legge di stabilità. Tuttavia, informa un autorevole ministro, «ancora non il suo Stato tira le somme» dell’impianto e dei costi di esercizio, che se prevedono «più onerosi di quanto siano stati immaginati».
Infine è l’aspetto politico. In questi giorni la Meloni ha avuto partita facile con l’opposizione. Nel corso della decisione (composizione) del Pd che ha portato all’espulsione di Rama dal Partito socialista europeo, il presidente del Consiglio si è espresso con le parole del premier albanese: “Aiutare l’Italia non sarà di sinistra e nemmeno di destra. Forse è semplicemente giusto”. Ma il silenzio dei Paesi dell’Unione non è affatto quello che si rivolge all’Europa imminente, la quale deve evitare di indugiare nel dibattito con gli elettori. Il certificato serve a verificare l’efficacia del progetto italiano: un eventuale fallimento si tradurrà in fallimento e costerà solo al governo di Roma.
Meloni è consapevole che l’accordo con l’Albania non è “la” soluzione al problema migratorio e che il percorso è più efficace attraverso il “piano Mattei” e gli accordi con i Paesi africani. La mia prima è una comunicazione convinta che il pianoforte stipulato a Tirana abbia un effetto dissuasivo, riducendo le partenze verso l’Italia: “Perché chi è arrivato – spiega un esponente di governo – rischia di non andare in Germania o in Francia ma di finire in Albania “. Aspettiamo tutti la Meloni, che nel frattempo ha un problema da risolvere con il Quirinale.
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