L’Italia si è ritirata dall’accordo con la Cina sulla partecipazione all’iniziativa Belt and Road, quattro anni dopo aver aderito ad essa, ha annunciato mercoledì una fonte governativa a Roma, citata da France Presse.
Da Eduard Marin il 06.12.2023, 18:33
Attesa da diversi mesi, la decisione di abbandonare questo faraonico progetto di infrastrutture terrestri e marittime lanciato dalla Cina nel 2013 è stata comunicata a Pechino tre giorni fa, secondo il quotidiano italiano Corriere della Sera, riferisce Agerpres.
Il governo italiano si è ritirato dall’iniziativa “One Belt, One Road”, conosciuta anche come “Nuova Via della Seta”, per poter “mantenere aperte le vie del dialogo politico”, afferma la fonte governativa citata.
Il tema è delicato per il governo di Roma, che cerca di non irritare Pechino e di evitare possibili ritorsioni cinesi contro le aziende italiane, indebolite dalla pandemia e dalle sanzioni imposte alla Russia.
La “Nuova Via della Seta”, un cavallo di Troia attraverso il quale la Cina cercherebbe di acquisire influenza politica
Nel 2019, gravata dal peso del suo debito pubblico, l’Italia è diventata l’unico Paese del gruppo G7 ad aderire al massiccio programma di investimenti di Pechino, descritto dai suoi oppositori come un cavallo di Troia attraverso il quale la Cina punterebbe ad acquisire influenza politica.
Prima di diventare Presidente del Consiglio alla fine del 2022, Giorgia Meloni riteneva che il coinvolgimento dell’Italia in questa iniziativa fosse un “grave errore”. Successivamente, nel settembre di quest’anno, al vertice del G20, ha affermato che un ritiro del governo italiano dal programma della Nuova Via della Seta “non metterebbe a repentaglio le relazioni con la Cina”.
Il coinvolgimento dell’Italia in questa iniziativa “non ha prodotto i risultati attesi” per la terza economia della zona euro, dichiarò all’epoca il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani.
L’ambizioso progetto del valore di circa 2.000 miliardi di dollari, lanciato dieci anni fa dal presidente cinese Xi Jinping, mira ad aprire nuovi collegamenti commerciali alle imprese cinesi e si basa in particolare sul completamento di grandi progetti di costruzione di infrastrutture.
Questo programma, al quale secondo Pechino partecipano più di 150 paesi, è criticato in Occidente per l’indebitamento nei confronti della Cina dei paesi poveri beneficiari dei rispettivi progetti.
Per quanto riguarda l’Italia, la sua partecipazione al programma di investimenti cinese non è stata vista favorevolmente dai suoi alleati nell’UE e negli Stati Uniti, che hanno già espresso la loro insoddisfazione per la decisione presa dal governo di Roma nel 2019.
Altre grandi economie europee, come la Francia o la Germania, non hanno aderito al progetto cinese, ma hanno invece concluso con esso ampi accordi commerciali e di investimento.
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