Il primo ministro italiano Romano Prodi ha presentato ieri le sue dimissioni, dopo il fallimento della sua maggioranza di governo al Senato, in termini di politica estera. L’Italia entra così in una grave crisi politica. La sconfitta al Senato ripropone l’annoso problema della sinistra italiana. Due volte in dieci anni i comunisti hanno destituito il primo ministro Romano Prodi. Fino all’autunno del 1998 riuscì a governare per due anni, questa volta nemmeno nove mesi. Prodi non ha perso per mancanza di fiducia, ma per la dichiarazione del ministro degli Esteri Massimo D’Alema secondo cui senza una politica estera comune il governo sarebbe costretto a fare le valigie. Ieri si è discusso della continuazione dei mandati in Afghanistan. Il ministro degli Esteri ha chiesto chiaramente il ritorno di 1.700 soldati italiani dall’Hindu Cush, loro Paese d’origine. Lui ha chiarito che la liberazione dell’Afghanistan non è una missione dell’alleanza NATO, ma delle Nazioni Unite, all’interno delle quali la NATO e gli altri stati svolgono una delicata e importante funzione militare. La missione ha soprattutto un carattere politico e civile. D’Alema ha così lanciato un segnale ai suoi stessi senatori, che hanno legato l’accettazione dell’impegno in Afghanistan ad un altro tema, ovvero l’ampliamento della base militare americana vicino a Vicenza. In entrambi i casi, il governo Prodi era legato ai paesi partner dall’approvazione già data dal suo predecessore Silvio Berlusconi. Poiché Prodi non ha rinunciato all’ampliamento della base militare americana vicino a Vicenza, i senatori comunisti si sono astenuti dal voto, così come altri due senatori a vita, tra cui l’ex ministro degli Esteri e primo ministro, il democristiano Giulio Andreotti. E poiché entrambe le astensioni furono considerate voti negativi, Prodi fu costretto a dimettersi. Secondo la Costituzione italiana e la tradizione politica, il presidente prenderà una decisione dopo aver consultato i presidenti di entrambi i rami del Parlamento e dei principali partiti del Paese. Giogio Napolitano ha avviato questa mattina le consultazioni elettorali per formare il nuovo governo. Non vi è alcun obbligo di indire immediatamente nuove elezioni. Se Prodi riuscisse a convincere a suo favore una parte dell’opposizione democristiana, potrebbe formare un nuovo governo. Un’altra possibilità sarebbe la nomina di un governo di “tecnocrati”, la cui formazione sarebbe affidata a una personalità non impegnata politicamente, una soluzione di durata limitata, che farebbe piacere all’opposizione di destra di Silvio Berlusconi. Un’altra soluzione sarebbe lo scioglimento di entrambe le Camere e l’indizione di nuove elezioni generali. Ma né la maggioranza né l’opposizione vogliono sottoporsi ad un nuovo verdetto delle urne, in base alla legge elettorale in vigore.
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