“È incomprensibile per me: in Europa abbiamo standard per banane e carote, e persino uno standard per un caricabatterie universale. Ma non per i diritti delle donne!” “Perché una donna polacca, maltese o italiana non dovrebbe avere gli stessi diritti di una donna francese, belga o spagnola?”, chiede Robert Biedron, europarlamentare socialista polacco.
Non esiste una legislazione europea specifica sull’aborto. La salute, come la salute sessuale, è responsabilità degli Stati membri. Lo spazio di manovra dell’Unione Europea è quindi limitato, anche se possono essere adottate leggi coercitive a livello europeo. È il caso, ad esempio, delle norme sul tabacco, che limitano specificamente il contenuto di catrame e su cui si basano le normative nazionali.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, una sorta di dichiarazione europea dei diritti dell’uomo, garantisce il diritto alla vita privata e familiare, nonché il diritto alla salute, ma non fa esplicito riferimento all’aborto.
L’8 marzo 2022, Giornata dei diritti della donna, la Presidente della Francia, che allora deteneva la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, ha espresso il suo allarme per le “regressioni inaccettabili” osservate “negli ultimi anni” in alcuni Paesi e ne ha sostenuto questo diritto ad essere inclusi nella Carta, “perché non abbiamo il diritto di tornare indietro”, ha detto.
Disparità
Sebbene l’aborto sia legale senza condizioni nella maggior parte dei 27 paesi dell’UE, questa apparente uniformità nasconde una realtà più contrastante. Mentre i progressi hanno incluso la legalizzazione dell’aborto in Irlanda nel 2018, gli ultimi anni hanno visto battute d’arresto o tentate restrizioni in diversi paesi, in particolare nell’Europa orientale.
Sulla carta, solo Malta e il Principato di Andorra hanno ancora un divieto totale di aborto, a prescindere dalle circostanze. Ma in Polonia l’aborto è diventato quasi impossibile. Dal 2020 l’aborto è autorizzato solo in caso di pericolo per la vita della donna incinta, stupro o incesto. E l’effettivo accesso a questo diritto è spesso impedito.
In Ungheria un decreto entrato in vigore nel 2022 obbliga le donne che desiderano abortire ad ascoltare il battito cardiaco del feto. Inoltre, in Slovacchia, negli ultimi anni, sono stati fatti diversi tentativi per limitare il diritto all’aborto.
Alcuni paesi non hanno nemmeno dovuto inasprire le loro leggi. In questi paesi, l’accesso all’aborto è di fatto limitato. Questo è il caso dell’Italia. Sebbene le donne italiane abbiano il diritto di abortire fino alla dodicesima settimana di gravidanza dal 1978, nel 2020 il Ministero della Salute ha riferito che il 64,6% dei ginecologi si è rifiutato di eseguire aborti per “obiezione di coscienza”.
Allo stesso tempo, il numero degli aborti illegali è stato stimato in 15.000.E l’ascesa al potere di Giorgia Meloni ha ulteriormente acuito i timori sull’accesso all’aborto, anche se durante la sua campagna ha chiarito che non avrebbe toccato la legge sull’aborto.
L’Italia non è un caso isolato: in Croazia, nel 2018, uno studio ha mostrato che il 59% dei ginecologi e ostetrici di questo Paese si rifiutava di eseguire aborti, adducendo la clausola di coscienza. All’interno dell’UE, solo Svezia, Finlandia e Lituania non consentono agli operatori sanitari di rifiutare l’aborto.
Il 24 giugno, l’abrogazione da parte degli Stati Uniti di Roe vs. Wade, che ha garantito alle donne il diritto all’aborto a livello nazionale, è stato uno shock. A seguito di questo evento, il Parlamento europeo ha adottato, il 7 luglio, una risoluzione che chiede l’inclusione dell’aborto nella Carta europea dei diritti fondamentali, con 324 voti favorevoli, 155 contrari e 38 astensioni.
Si tratta di un segnale positivo, tanto più che questa carta, firmata nel 2000, ha valore di trattato. In quanto tale, è giuridicamente vincolante. Il problema, tuttavia, è che poiché ha lo status di trattato, cambiarlo richiederà la revisione del trattato, che non è ancora all’ordine del giorno. Senza contare che la procedura di revisione dei trattati richiede l’unanimità degli Stati membri, ciascuno con diritto di veto.
Come conclude Bruno de Witte, professore di diritto dell’Unione europea all’Università di Maastricht in un articolo pubblicato sul sito Euractiv, specializzato in questioni europee, questa iniziativa ha poche possibilità di successo. E nel contesto in cui manca meno di un anno alle elezioni europee, il 9 giugno 2024, la situazione è ancora più incerta.
Il testo integrale dell’articolo pubblicato da rfi.fr qua.
Tradotto da Axenia Dociu
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