Da Vienna: uno caldo, uno freddo

È incredibile che la stessa Vienna, che ci ha così amaramente deluso non accettando la Romania e la Bulgaria nell’area Schengen, la stessa Vienna, dico, sia così generosa con il mondo intero la mattina di Capodanno, per la gioia di cui ha trasmette il primo grande evento musicale dell’anno: il concerto festivo.

La domenica, alle 11:15 (12:15 ora rumena), gli amanti della bellezza di oltre 90 paesi, indipendentemente da dove si trovino sui paralleli o sui meridiani del globo, hanno l’opportunità di ascoltare dal vivo da Vienna il concerto del Capodanno 2023, suonato nella celebre sala del Musikverein, apprezzata per le sue qualità acustiche come la quinta al mondo, dopo altre famose sale di Berlino, Amsterdam, Boston e Buenos Aires.

Inaspettato per alcuni di noi è il fatto che la sala, inaugurata nel 1870, sia stata costruita su un terreno donato a questo scopo dallo stesso imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe I, e con fondi provenienti principalmente da donazioni, il principale donatore è un aromeno , uomo d’affari Nicolae Dumba.

Il padre di Nicolae, di nome Stere Dumba, così come la madre di Nicolae, di cui non si conoscono altri dettagli se non il nome da nubile, Maria Maniu, che non dubita di origini rumene, immigrò a Vienna nel 1817, riuscendo una fortuna invidiabile grazie al commercio del cotone .

Grande uomo d’affari, ma anche appassionato di musica, Nicolae Dumba ha donato buona parte della sua impressionante fortuna per la costruzione di una sala da concerto, il futuro Musikverein. Il valore della personalità dell’aromuno in Austria-Ungheria da allora deriva anche dal fatto che per due decenni, tra il 1880 e il 1900, l’immigrato Nicolae Dumba fu direttore della Erste Österreichische Spar-Kasse, predecessore dell’attuale Erste Bank.

Nella sala del Musikverein, costruita, come dicevo, sulla terra dell’imperatore e grazie a una cospicua donazione dell’Aromeno Dumba, da più di otto decenni, ogni mattina di capodanno, si tiene il concerto dell’Orchestra Filarmonica di Vienna, sempre diretta da un inferno di un mostro stecco.

Forse questi nomi non impressionano alcuni, ma molti tremano quando li sentono: Klemens Krauss (direttore del primo concerto, dal 1939), Willy Boskovsky (direttore di 25 edizioni), Herbert von Karajan (anche aromeno, stimato austriaco e anch’egli discendente di un immigrato, un certo Ion Caraion), l’americano Lorin Maazel (7 edizioni), il giapponese Seiji Ozawa, l’italiano Claudio Abado, l’indiano Zubin Mehta, il francese Georges Pretre, il lettone Mariss Jansons, l’argentino Daniel Barenboim, il venezuelano Gustavo Adolfo Dudamel, il lettone Andris Nelsons , e oggi, 1 gennaio 2023, sarà alla guida dell’austriaco Franz Welser-Möst, direttore della Cleveland Philharmonic (USA) da due decenni.

Non posso che elogiare il genio della musica viennese e dei suoi esecutori, la bravura degli strumentisti austriaci, la bravura nell’iniziare e organizzare i concerti, nell’impaginazione di ogni edizione, nell’esecuzione degli addobbi floreali, inizialmente con fiori importati dall’Italia , e ultimamente con i propri fiori, coltivati ​​in serre vicino a Vienna.

Come ho detto, non ho altro che elogi. Ma mi chiedo ancora cosa avrebbero significato i concerti di Capodanno a Vienna, se sul podio non ci fossero stati personaggi illustri di tutto il mondo? Certo, sarebbero ancora preziosi, ma senza dubbio avrebbero perso gran parte del loro splendore.

Il concerto, trasmesso originariamente alla radio, e dalla metà degli anni Cinquanta in televisione, fu definito fin dall’inizio come un concerto di musica sinfonica leggera, principalmente valzer. Le composizioni appartenevano ad autori viennesi, principalmente ai due Johann Strauss (padre e figlio). Per anni, direi addirittura decenni, il programma si è basato sui valzer, ma conteneva anche una sequenza di polke, quadriglie e galoppi.

Ci sono soprattutto questi valzer di Johann Strauss, che si sono imposti nel tempo, di forte impatto sul pubblico: Valzer imperiale, Racconti della foresta viennese, Canto del vino e delle donne, Le mille e una notte, Sangue viennese, Rose. , Voices of Spring e altri, basta. Tanti, ma pochi rispetto al totale dei valzer composti da Johann Strauss, figlio: 144.

Centoquarantaquattro valzer, di cui solo pochi, i più noti, venivano ripetuti a turno ad ogni concerto e ad ogni capodanno. Forse gli organizzatori non potevano credere in una realtà, che gli stessi temi melodici, per quanto deliziosi, possano diventare noiosi, con la loro insistente ripetizione.

E poi, i direttori negli ultimi anni hanno iniziato a fare meno affidamento sui valzer “famosi”, cancellando dagli archivi valzer “rari”, dimenticati o semplicemente trascurati dai programmatori di concerti. È così aumentata la frequenza di mazurche, marce e quadriglie, altri gioielli musicali certamente meno pretenziosi dei valzer, ma non per questo meno preziosi.

Insomma, il classico valzer, il noto ritornello che un tempo titolava i concerti viennesi, ha smesso di dominare i programmi di Capodanno.

Ebbene, nel programma di oggi, il Concerto di Capodanno 2023 non contiene più nessuno di quei valzer che canticchiavamo, una volta, dopo il concerto. Vienna sta sperimentando un nuovo paradigma, basato non su ciò che ha già fatto la sua fama e reputazione, ma su ciò che è meno popolare.

Anche con il primo pezzo ci viene proposto qualcosa di diverso dalla solita (e costosa) ouverture all’operetta di Liliacul, o con altri, l’operetta “Une nuit à Venise”, “Zigeunerbaron” (lasciamola così, che se Dovevo tradurlo con il voivode rom, sarebbe strano) o al Sange Vienez. Il programma del concerto di quest’anno si apre con una semplice polka, “Who’s Dancing?”, opus 251, di Eduard Strauss, uno dei tre fratelli musicisti, ma non Johann.

C’è anche un’apertura nel programma, ma non è posta nel titolo, non è il pezzo forte, posto nell’apertura del programma. Al contrario, è scivolato da qualche parte nel mezzo e non è nemmeno imparentato con gli illustri fratelli Strauss. È l’apertura dell’operetta Isabelle, di Franz von Suppe, autore di dozzine di amate operette, alcune delle quali famose, altre – molte! – dimenticare.

La cosa più interessante, tuttavia, è il fatto che l’intero programma contiene solo due brani di Johann Strauss, nessuno dei quali di grandi dimensioni: una quadriglia “op 422” e la polka “Frisch Heran”, op. 386.

La sorpresa è che non è il padre o il figlio di Johann Strauss i protagonisti del programma, ma uno degli altri due figli, Joseph Strauss, compositore noto ma di impatto minore rispetto a Johann Strauss. Dalla creazione di Joseph, per il concerto sono stati conservati 8 brani musicali, su un totale di 15. Non capitava molto spesso che un altro grande compositore dominasse il programma, oltre ai due Johann Strauss.

È ovvio che gli autori del programma si prodigano per “smodellare” il concerto e offrire al pubblico qualcosa di nuovo, qualcosa che, anche se non è assolutamente originale, è comunque raro. Gli autori scommettono su un pubblico che sente il bisogno di nuove tematiche melodiche, che si aspetta partiture sconosciute, pagine dove non necessariamente ci si imbatterà nel noto, bellissimo tema di successo, ma demonetizzato nel tempo.

Mi sembra giusto. Voglio dire, fino a tutti i “valzer imperiali”, tutte le “voci della primavera”, tutto il “sangue viennese” e tutti i “racconti della foresta viennese”? Non sono altrettanto brillanti gli altri valzer di Johann Strauss, fino a un totale di 144, e molte altre composizioni? Il loro valore è stato diminuito perché non sono finiti per essere canticchiati e canticchiati e ripetuti all’infinito? Il loro merito è stato diminuito perché invece di essere giustiziati sono rimasti dimenticati in un cassetto?

Il Concerto di capodanno viennese 2023 mi sembra qualcosa di più di un semplice concerto. È una sfida. Sta testando un vasto pubblico, non solo quello nella stanza. Attraverso il pubblico, il pubblico di oltre 90 paesi ha la possibilità di esprimersi, diminuendo il commercio della nuova edizione se preferisce i vecchi stereotipi musicali, già conosciuti, o aumentandolo, se gradisce prima di tutto, la sorpresa e l’originale.

Il programma si conclude con il conduttore che si rivolge al pubblico augurando loro un “Felice Anno Nuovo” in tedesco, la lingua del paese ospitante, da qualunque parallelo o meridiano provengano.

Ma il pubblico sa per certo che lo spettacolo non finisce con il programma. Tutto quello che devi fare è gridare “ancora!”, perché l’orchestra abbandoni ogni rinnovamento e suoni una polka, poi il valzer “Il bel Danubio blu” di Johann Strauss-il figlio e, infine, la marcia “Radetzky” di Johann Strauss- il padre – brani imprescindibili alla fine di tutti i concerti di capodanno viennese.

Niente entusiasma di più il pubblico del momento in cui il grande direttore d’orchestra si volta verso la sala e “conduce” il pubblico impaziente a battere le mani al ritmo della marcia popolare.

Ovviamente, uscendo dal concerto, anche virtualmente, non ci si trova a canticchiare il tema di una polka o mazurka appena imparata, ma solo a cantare tra le labbra la marcia di Radetzky e scandire il ritmo con le mani quasi a caso, in assenza di un direttore d’orchestra , una bacchetta e un vero tamburo.

Tarso Mannarino

"Amante del cibo pluripremiato. Organizzatore freelance. Bacon ninja. Pioniere dei viaggi. Appassionato di musica. Fanatico dei social media."

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *