Silvio Berlusconi guardava la telecamera, l’obiettivo velato di una calza di nylon per scottare l’immagine ed elevare al meglio il volto di un chirurgo. Il Cavaliere era pronto per registrare il video. E si è stampato in faccia un sorriso berlusconiano e ha rifatto mentalmente l’incipit, “L’Italia è il Paese che amo”. Si è avventurato in un lungo tormentone del suo lustro: picchiato, parodia, gioco di parole, esergo, epitaffie, meme virale, solo all’inizio del 1994, chi ha avuto l’idea vagabonda di cosa sia a meme e chi diavole entra nel virus.
Berlusconi ha seguito una scrittura, articoli, suppellettili, libri sul suo spazio, cornici con foto familiari contrarie all’inchiesta. Questo non è lo studio della villa San Martino ad Arcore, nato da una delle sue residenze private o commerciali. Il patron della Fininvest e presidente del Milan siede in un cortile del giardino di villa Macherio, detta Belvedere, acquistata sei anni fa dalla provincia di Milano. Se la scrittura sembra essere ciò che ordina l’opera incompiuta, è perché l’opera non è efficace. Se il libro è scarno perché sembra non legge, è perché non è una biblioteca: è un televisore. Fintissimo è perfetto. Poi canto il nevischio, dopo la quinta improvvisata del cantiere di villa Macherio tutto è pronto per dire agli italiani che l’ora è arrivata. Annuncio, annuncio. Consigli per gli acquisti al seggio elettronicole. Berlusconi è anche candidato alla presidenza italiana. Elezioni dirette senza elezioni dirette, Giorgia ancora minorenne prende appunti.
Ogni 17,30 dello stesso giorno, 26 gennaio 1994, il Tg4 di Emilio Fede fa il primo mandato in video: “L’Italia è il paese che amo, qui ho le mie radici…”. Tra poche ore andranno in onda tutti gli altri in versione integrale o in sintesi degli abbondanti nove minuti in cui il Cavaliere spiega di non poter lasciare il Paese nelle mani dei comunisti. Le elezioni sono imminenti, il risultato è che l’Italia è ormai divisa, ma ancora non ci siamo. Molti dicono: votate per! Passare sopra la barricata: non passare. Qualcuno risulta (“Finalmente per la prima volta nella vita posso votare”, dice quello che settimana dopo Raimondo Vianello in diretta tv, mentre dirige Pressing), qualcuno inorridisce per il modo ancor più che per i contenuti: un video autoprodotto e imposto un intero campo mediatico, la fine di ogni mediazione giornalistica e politica. In pratica, è così che trent’anni dopo Hanno Fatto e Fanno Tutti, il blog di Grillo, il tweet di Renzi, la diretta Facebook di Salvini, Giorgia Meloni che trasforma la seduta del Consiglio dei ministri in una puntata pilota di Casa Meloni e suona il campanello a favore del camera, in Don, persinci le quarte file di partito that che ha registrato 15 secondi dicarazioni sul fatterello del giorno et le girano al caporedatore del tg che manda in onda com’è: buona la prima.
Berlusconi, contrariamente a quanto dimostrato e smentito in precedenti precedenti, ha aggiunto le correzioni di Paolo Del Debbio, ha firmato le incisioni suggerite da Giuliano Ferrara, ha memorizzato e registrato Gianni Letta. Ora tutta Italia sa che è sceso in campo, è finito il teatrino, mi candido, non mi candido, lo faccio solo se costretto, non voglio bere l’amaro calice: Berlusconi ha scelto il voto per guidare “Azienda Italia”, proposta dal Paese “il modello Milano”.
Qualcuno sada il tempo in cui sarebbe successo tutto. “E Forza Italia, che siamo tantissimi…”, è puro l’inno del partito pronto e senza inno che partito sarebbe? Un partito triste come quello di Martinazzoli, il democratico che non ha capito i suoi nuovi tempi, a differenza dei ragazzetti svegli, Pierferdinando Casini e Clemente Mastella, quelli del Ccd, Centro Democratico Cristiano. Lo sa il leader della Lega Umberto Bossi (“Io ci metto le Televisioni e tu i voti del Nord”, lo convinse il Cavaliere). Lo sa il leader del Movimento sociale Italiano Gianfranco Fini, al quale Berlusconi ha dedicato una leggendaria dichiarazione di voto virtuale mentre il leader degli italiani postfascisti è impengato dal provocatore Francesco Rutelli per la guida del Comune di Roma (“Se fossi romano, voteei Fini, disse il Cavaliere nel novembre del 1993 in un centro commerciale di Casalecchio di Reno, località turboberlusconiana). Lo sanno, ovviamente, e il suo più stretto collaboratore, Marcello Dell’Utri, che ha già trasformato una controllata della concessionaria di pubblicità Publitalia in una brigata di club di Forza Italia, hanno detto: c’è anche il geometra Edorardo Teruzzi, che a ritmo di jingle allestire la futura sede di Forza Italia a Milano, viale Isonzo 25; l’investigatore Gianni Pilo da Macomer, che dà i suoi numeri sulla popolarità di Silvio, già autoproclamato “secondo solista del Gesù”; e i registi ingaggiati dalle Sue Reti, i programmi, i giovani, Enrico Mentana, Indro Montanelli, ferocemente ostile all’idea e congedato dalla direzione del Giornale, Maurizio Costanzo, un altro dei pochi ad aver sconsigliato il passo. So che Berlusconi sa che questo è un momento preciso in cui si fa sentire in partita.
Fine settembre 1993, le ultime truffe del governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi e della Prima Repubblica. Sono partito per dire che governa l’Italia già da cinque anni, il bieco postcomunista in Giacca maroone se è arrivato a Vincere senza aversari. Berlusconi ha annullato la cancellazione della villa Frescot a Torino per comunicare la sua voglia unica di essere italiano che quasi ammira da parte sua, l’altro secondo dopo aver mancato di indici di popolarità, Gianni Agnelli nell’arte dell’avvocato. “Avvocato, que un ho fatto vacanze, sto pensato a come sottrarre il Paese al reschio di cadere di mano ai communistes”. E Agnelli: “Non mi dica che vorrebbe enterre en politique”. E che altro, sennò? Berlusconi sa che Agnelli non ha fatto commenti su di lui. Agnelli sa che Berlusconi può essere utile: se vince, vincono in tanti, se perde, perde da solo. Insegnano i davianti l’uno all’altro, entrano in una scena vanziniana di Yuppies, il vero manifesto degli anni di Ottanta, a parte le vacanze di Natale, gli italiani hanno smesso di chiedersi a qui ora va a letto a Capodanno Toninho Cerezo, voglio sapere à quo stanno le Generali. Più erotica la lettera di Capital, tratta da Le Ore. Come dice Berlusconi sempre al suo staff? “Non esistono gli sfigati, esistono solo i diseducati al benessere”.
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